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29/04/2021

ANCHE SE IL SANITARIO RIFIUTA DI VACCINARSI, IN CASO DI CONTAGIO HA COMUNQUE DIRITTO ALLA COPERTURA ASSICURATIVA, MA NON AL RISARCIMENTO DEL DANNO DA PARTE DEL DATORE DI LAVORO PERCHÉ COLPEVOLE DI COMPORTAMENTO NEGLIGENTE

L’attuale emergenza sanitaria dovuta al Covid-19 ha generato in capo al datore di lavoro nuove e difficili problematiche da affrontare e risolvere nel breve termine.

Tale situazione ha fatto emergere il delicato rapporto della tutela della salute e del lavoro, con profili concernenti non solo la riservatezza ma anche la responsabilità del datore di lavoro di adottare misure finalizzate all’eliminazione o riduzione del rischio di contagio.
Nel nostro ordinamento giuridico, il tema del vaccino e del conseguente “obbligo vaccinale” hanno suscitato riflessioni che è opportuno preliminarmente mettere sinteticamente in luce.

L’art. 32 della Costituzione non solo attribuisce il diritto di tutelare la salute ma anche di porre al centro l’interesse “dell’uomo in quanto Uomo”, prima ancora dell’uomo inteso quale parte integrante e interagente con la società.

Quando è stata emanata la legge di attuazione del piano vaccinale volontariamente si è taciuto sulla questione circa l’obbligatorietà o meno della vaccinazione; questo perché è stata riconosciuta la libertà del singolo di optare di non sottoporsi alla vaccinazione. Pertanto, affinché un trattamento sanitario venga imposto, è essenziale la presenza di una legge che specificamente lo preveda ed imponga determinati trattamenti,non essendo sufficiente un generico obbligo a curarsi. E’ necessario, infatti, che il diritto alla salute, collettivo ed individuale, venga costantemente bilanciato al fine di capire fino a che punto il diritto del singolo debba essere sacrificato per il benessere della collettività.

La questione oggi più dibattuta consiste nel comprendere se e quale tipo di garanzia assicurativa sussista per i lavoratori cosiddetti “no-vax”.

Sebbene la questione non sia di facile e pronta soluzione, significativa è stata la nota operativa 1 marzo 2021 dell’INPS, la quale ha espresso che “il rifiuto di vaccinarsi, configurandosi come esercizio della libertà di scelta del singolo individuo rispetto ad un trattamento sanitario, ancorché fortemente raccomandato dalle autorità, non può costituire una ulteriore condizione a cui subordinare la tutela assicurativa dell’infortunato”. In quell’occasione l’istituto previdenziale, in ottica prettamente assicurativa, ha ricordato che “il comportamento colposo del lavoratore, tra cui rientra anche la violazione dell’obbligo di utilizzare i dispositivi di protezione individuale, non comporta di per sé, l’esclusione dell’operatività della tutela prevista”.

Infatti, l’istituto previdenziale ha come fine ultimo quello di tutelare il lavoratore nelle situazioni di malattia professionale e di infortunio sul lavoro e di fornire tutti gli strumenti necessari per affrontare e gestire la condizione di bisogno derivante dalla lesione. La garanzia opera in tutti i casi di infortunio e di malattia professionale, anche qualora il datore di lavoro non abbia versato i contributi dovuti.

Tuttavia, la tutela non è assoluta. Il comportamento colposo del lavoratore può, infatti, determinare l’esclusione della responsabilità del datore di lavoro, elidendo il diritto dell’infortunato al risarcimento del danno nei suoi confronti, così come il diritto di regresso dell’INAIL nei confronti del datore di lavoro.

Una volta riconosciuto che il rifiuto del vaccino, sotto il profilo assicurativo, non costituisce motivo di esclusione della garanzia riguardante gli infortuni sul lavoro, resta da comprendere quali responsabilità sorgano in capo al datore di lavoro in caso di contagio.

L’art. 2087 c.c. dispone che il datore di lavoro deve “adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro”. Nonostante sia lapalissiano riconoscere che il vaccino costituisce uno strumento essenziale per eliminare l’attuale situazione emergenziale, non sembra che la vaccinazione imposta dal datore di lavoro possa trovare fondamento nell’art. 2087 c.c., senza che questa entri in conflitto con l’art. 32 della Costituzione. Si tratta, infatti, di una norma generale che è in contrasto con il diritto fondamentale della persona a sottoporsi liberamente ad un trattamento sanitario. Dunque, in assenza di una esplicita disposizione normativa che obblighi i singoli soggetti a vaccinarsi, l’art. 2087 c.c. non è in grado di superare la forza probante dell’art. 32 della Costituzione, essendo quest’ultima norma di rango superiore. Ciò implica che inquadrare determinate scelte del datore di lavoro come suscettibili di sanzione perché non impongano l’obbligo di vaccinarsi, risulta essere insidiosa oltre che pretestuosa. Dato che la strada per l’obbligatorietà della vaccinazione è lontana, è necessario effettuare un costante bilanciamento dei diritti fondamentali, analizzando le situazioni caso per caso, con specifico riferimento ai settori maggiormente a rischio, ed affidarsi a quel principio solidaristico che impone ai singoli di impegnarsi a non interferire nella sfera giuridica altrui.

Di conseguenza, ci si domanda quali provvedimenti debbano essere assunti nei confronti di quel personale sanitario che non abbia intenzione di aderire al piano vaccinale anti-Covid19. Questo perché la non adesione alla vaccinazione potrebbe determinare, da una parte, la responsabilità del datore di lavoro, dall’altra, il personale sanitario stesso potrebbe essere esposto a richieste di risarcimento per danni civili, oltre che responsabilità per violazione del codice deontologico. Tale ragionamento è strettamente connesso con il concetto del “concorso di colpa”. Quest’ultimo sorge quando l’imprudenza e l’imperizia del lavoratore contribuisce alla causazione dell’evento dannoso. A tal proposito, viene specificato che la responsabilità del datore di lavoro – e la conseguente tutela risarcitoria – può essere esclusa solo qualora il dipendente incorre nell’infortunio nonostante siano state adottate dal datore di lavoro tutte le misure finalizzate a contenere il rischio, inclusa l’esortazione alla vaccinazione mediante campagne di promozione. In altre parole, la responsabilità del datore di lavoro e la conseguente tutela risarcitoria può essere limitata o esclusa in quanto le lesioni o l’exitus siano la conseguenza di un comportamento abnorme ed eccezionale del lavoratore danneggiato. Il dipendente, infatti, incorrerebbe nell’infortunio nonostante tutti gli accorgimenti adottati dal datore di lavoro. Secondo consolidata giurisprudenza, il comportamento colposo del lavoratore che non rispetta l’obbligo di utilizzare i dispositivi di protezione individuale può incidere sulla responsabilità del datore di lavoro: viene meno l’obbligo di risarcire il proprio dipendente nell’eventualità di infortunio.

Aprile, 2021

a cura di Irene e Paolo Vinci