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Nell’editoriale pubblicato su Science (Science 19 Jun 2020: Vol. 368, Issue 6497, pp. 1290 DOI: 10.1126/science.abd3377), Norman E. Sharpless, Direttore del National Cancer Institute (NCI), spiega che il cancro è una malattia complessa, la cui prognosi è influenzata dalle tempistiche della diagnosi e dell’intervento. In generale, prima comincia il trattamento, migliori sono i risultati. Dall’inizio della pandemia, negli Stati Uniti, si è già verificato un forte calo delle diagnosi oncologiche, ma non c’è motivo di credere che la reale incidenza del cancro sia diminuita. Le neoplasie, non rilevate in questo periodo, verranno comunque alla luce prima o poi, ma a stadi più avanzati e con prognosi peggiori. In molti ospedali italiani, i cosiddetti trattamenti oncologici elettivi e gli interventi chirurgici sono stati posticipati per preservare la capacità clinica da dedicare ai pazienti Covid-19. Per esempio, alcuni pazienti ricevono cicli meno intensi di chemioterapia e radioterapia e, in altri casi, gli interventi per rimuovere i tumori di recente diagnosi sono stati rinviati.

Non c’è dubbio che la pandemia Covid-19 stia causando ritardi nelle diagnosi e un’assistenza non ottimale dei pazienti oncologici.

Oltre all’assistenza clinica, la pandemia da Covid-19 ha causato un’interruzione senza precedenti nella ricerca scientifica, con la chiusura di molti laboratori e il rallentamento degli studi clinici. D’altra parte, le attività chirurgiche hanno subito ritardi, e molti centri hanno notato una riduzione del numero di nuove diagnosi: questo è stato attribuito a vari fattori, tra cui l’interruzione dei programmi di screening, la rinuncia da parte di alcuni pazienti a recarsi in ospedale pur in presenza di qualche sintomo che avrebbe giustificato approfondimenti diagnostici, nonché la difficoltà da parte di medici di medicina generale e altri specialisti (inevitabilmente impegnati nella gestione dell’emergenza) a gestire casi sospetti.

Anche in Italia, come in tutti gli altri paesi colpiti dall’emergenza, le attività legate agli screening oncologici sono state sospese. Già a maggio, numerose voci si sono levate per sottolineare l’importanza della riapertura degli screening. Nel comunicato rilasciato da FAVO, AIOM, AIRO, SICO, SIPO e FNOPI per la XV Giornata Nazionale del Malato Oncologico, si è sottolineato che la sospensione di tre mesi degli screening per i tumori al colon retto, alla mammella e alla cervice si sarebbe tradotta in un significativo ritardo diagnostico e si è proposto di riattivare con urgenza tutti i programmi di screening oncologici, prevedendo misure atte a facilitarne l’accesso in sicurezza tramite percorsi dedicati possibilmente in strutture sanitarie COVID free.

In Lombardia, da gennaio a settembre, sono stati effettuati 33.634 interventi oncologici. I problemi si pongono però con quel che avverrà nell’ultimo trimestre, con gli ospedali sotto pressione per il ritorno violento del Covid soprattutto in Lombardia e nell’area di Milano. Ad oggi il 9,2 per cento di tutta l’attività sanitaria extra pandemia è già stato rinviato. Si tratta di quelle che vengono definite «attività non urgenti».

Secondo i commenti ufficiali rilasciati dal Prof. Roberto Orecchia, direttore scientifico dello Istituto Europeo di Oncologia (IEO) di Milano, per quanto riguarda il settore oncologico «La ripresa dopo la fase 1 lasciava buone prospettive per la chiusura dell’anno: ora sarà importante capire quanto questa nuova ondata potrà durare. Perché l’Oncologia è una priorità terapeutica, qui non esiste il concetto del rimandabile». A livello di chirurgia oncologica, allo Ieo si fanno 15 mila interventi l’anno, una media di 1.200 al mese. Tra marzo e maggio si era perso il 20 per cento di attività. Già a giugno e luglio si era rientrati nelle medie storiche. «Si pagavano soprattutto le rinunce di pazienti che sarebbero dovuti arrivare da altre Regioni, per difficoltà logistiche e un diffuso timore verso gli ospedali. Per ora la situazione mi sembra diversa». Numeri alla mano, se risonanze magnetiche e tac sono in linea con un calo inferiore all’1% rispetto al 2019 e l’attività chirurgica non risente di variazioni, ci sono preoccupanti avvisaglie in alcuni settori dello screening. Ad esempio nel settore delle mammografie, dove il calo di prenotazioni è già del 14 per cento. Un ritardo diagnostico che si rischia di pagare più avanti.

Quanto all’attività dei centri diagnostici italiani, la loro efficienza si basa sull’ottimizzare le risorse umane e tecnologiche a disposizione per l’erogazione del servizio (soprattutto quello oncologico, visto l’elevato valore del capitale investito nei macchinari specifici).

Per queste realtà, l’ottimizzazione economica avviene facendo “lavorare” il più possibile gli strumenti (es. RX, RAC, RNM, PET, ect), eliminando i tempi morti tra una prestazione ed un’altra.

Ante Covid, questo avveniva facendo attendere i pazienti e con un’organizzazione del lavoro molto serrata (nella sanità privata con più successo rispetto a quella pubblica).

Oggi, causa procedure/protocolli di sicurezza Covid, distanziamento (numero massimo di persone per mq in sala d’attesa, etc), le modalità di lavoro sono totalmente cambiante, facendo perdere di efficienza (e quindi anche di margine di guadagno) l’attività svolta dai centri diagnostici.

In sostanza rispetto al mondo ante Covid a parità di ore, in una giornata di lavoro vengono erogate tra il 15% ed il 30% di prestazioni in meno.

Questo numero è frutto della logistica di ciascun centro diagnostico. Centri nuovi con ampie sale di attesa e munite di ampi spazi si attestano sul 15% in meno.

A queste considerazioni, vanno aggiunti i maggiori costi derivanti dall’acquisto dei DPI (mascherine, guanti, camici, gel, visiere, etc).

Il combinato disposto di quanto sopra ha portato alla contrazione dei margini o anche a perdite vere e proprie per gli operatori economici del settore.

Le strategie per contrastare queste dinamiche sono:

  • sul lato tecnologico, investire in software che permettano di gestire i flussi di pazienti in ingresso ed il successivo recupero on-line del referto;
  • sul lato organizzativo, rivisitare i turni di lavoro, ampliare le ore di attività fino a tarda sera e nel week end (questo anche per recuperare le mancate prestazioni durante il periodo del lock down).

I centri hanno registrato un marcato recupero di attività da Giugno in poi. All’interno del settore diagnostico, il servizio che ha recuperato di più è stato di gran lunga quello oncologico. Questo a provare ineccepibilmente il grave disagio subito dai malati di oncologia durante il periodo più pesante della pandemia (marzo/maggio).

D’altra parte, si osserva anche, nel mondo privato, la nascita di servizi ed attività nuove legate al Covid, sia a domicilio che in centri diagnostici: tamponi (sia molecolari, che rapidi, in attesa dei salivari), sierologici (sia saponetta che quantitativi), RX torace, ECO polmonari, consulti on line, etc. Attività a volte frenate dalla Pubblica Amministrazione (vedasi la Regione Lazio che fino a pochi giorni fa non autorizzava la sanità privata a fare diagnostica Covid)

Vale la pena sottolineare, che per un errore imperdonabile di programmazione a livello nazionale, ci ritroviamo a non poter erogare quanto richiesto dalla popolazione per la carenza di infermieri, oltre che per un deficit organizzativo strutturale della macchina statale/regionale (anche qui in Lombardia) che non è in grado di porre in essere le cose che servono (es. 1 milione di tamponi al giorno).

L’articolo pubblicato su Il Quotidiano di Bari